La domanda del titolo suonerà sicuramente irriverente per i numerosi cultori del diritto amministrativo, ma viene volutamente utilizzata per provocare un collegamento storico/culturale utile: c’è un filo di continuità e di collegamento fra le vicende della pubblica amministrazione nostrana e l’imponente costruzione dottrinaria che si sviluppa dalla fine dell’800 con Vittorio Emanuele Orlando e procede, attraverso un ideale passaggio di testimone fra generazioni , lungo l’opera di Santi Romano, Oreste Ranelletti, Guido Zanobini ed , infine, plana in Massimo Severo Giannini (per non citare rispettosamente i viventi, che tale tradizione conoscono bene e hanno sviluppato in forme diverse). L’opera di questi costruttori del diritto amministrativo si sviluppò soprattutto nell’ottica (alla fine superata proprio da Massimo Severo Giannini con il suo famosissimo “Rapporto” del 1979 al Parlamento) di un principio fondamentale: l’attività degli uffici pubblici e dei loro dipendenti deve essere regolata con norme e organi giurisdizionali speciali, necessari a marcare un punto di discontinuità fra “mondo privato” e “mondo pubblico”.
Come ormai notissimo, un poderoso movimento d’opinione – che dal punto di vista squisitamente dottrinario fece capo negli anni ’90 al compianto Massimo D’Antona (vedi qui il suo scritto più significativo al riguardo) – smontò letteralmente il congegno giuridico creato dai padri del diritto amministrativo e promosse una serie di ibridazioni e contaminazioni fra diritto amministrativo e diritto comune, al punto di prefigurare la confluenza delle norme “separate” del primo nell’alveo di una legislazione del lavoro valida ed efficace per dipendenti pubblici e privati. Non essendo ancora maturato un pensiero compiuto in ordine a questa problematica – ancora vivacemente dibattuta e battezzata come “privatizzazione” del pubblico impiego (vedi qui comunque l’impostazione federale U.S.A. del rapporto di pubblico impiego) – mette qui conto di approfondire le vicende di colui il quale rappresenta una classica figura “bifronte”: Santi Romano, come studioso, dimostrò l’esistenza quali fonti di diritto di una pluralità di soggetti e ruppe teoricamente il concetto di stesso di “Stato come produttore unico di norme e di diritto” con uno studio d’importanza europea: “L’ordinamento giuridico” del 1918; per altro verso, come presidente del Consiglio di Stato – nel pieno del ventennio fascista – fu strenuo difensore della centralità e della sovranità dello Stato e della sua pubblica amministrazione, a fronte non solo di altre forme istituzionali ma anche– sempre con grande prudenza – verso quella che noi oggi chiamiamo “politica”, ma che all’epoca assumeva il volto dalla mascella volitiva del Duce Benito Mussolini. Chi voglia approfondire questa classica figura di italiano, può far riferimento alle tre fonti che qui proponiamo:
Enciclopedia TRECCANI: voce “Santi Romano” curata dal prof. Guido Melis
Il Consiglio di Stato ai tempi di Santi Romano – Guido Melis