Quella che raccontiamo è una storia di ordinaria corruzione avvenuta in un ridente comune del bergamasco e che ha per protagonista il capo contabile del Comune di Stezzano. La raccontiamo perché si è conclusa definitivamente pochi giorni fa con una sentenza della Corte dei conti che chiude definitivamente il circuito truffaldino della vicenda. Il mix che presentiamo fra gli articoli dei quotidiani al momento dello scoppio dello scandalo e il testo delle sentenza offrono al lettore una vista completa di un evento-tipo nell’Amministrazione pubblica dei nostri giorni, i cui contorni sono chiari e non si prestano a equivoci, visto che la signora ha confessato ogni cosa e il precedente giudizio penale si è concluso con il patteggiamento.
Siamo nel 2013: Loredana Zenca, da 20 anni ragioniera del Comune di Stezzano (BG) (13.000 abitanti circa) viene arrestata per peculato: le si imputano ( vedi qui articolo del Corriere della Sera ) versamenti per 180.000 (centottantamila) euro dal 2009 al 2013 effettuati su tre bonifici intestati , rispettivamente alla moglie, alla madre e alla suocera del capo dei vigili urbani del comune. La Ragioniera aveva inoltre utilizzato i conti dell’Amministrazione per acquistare gioielli per 130.000 euro e mobili di pregio per 30.000 euro. Esilaranti, ma assai significative, le sue giustificazioni: “ero pressata dal patto di stabilità interno e dalle continue richieste di autorizzare le spese senza la certezza della copertura economica“. Per il ruolo svolto la signora aveva carta bianca sugli impegni e sulle autorizzazioni di spesa del Comune. La sindaca Elena Poma dichiarò: “Non ci siamo accorti di nulla”. Beatrice Mascheretti revisore dei conti del comune di Stezzano (e capogruppo della Lega in consiglio comunale a Zanica) dichiarò:”Non avrei esitato intervenire se avessi avuto il minimo sospetto“. il il Tribunale del riesame affondò per primo il dito nella piaga: “Ciò che ha fatto e ha potuto fare perché sapeva che i controlli interni dell’ente erano pressoché inesistenti “(vedi articolo del 23 novembre 2013 Corsera). Riportiamo infine il video di alcune interviste ai cittadini del Comuni, esterrefatti e irati: la domanda che si ponevano tutti era: “Possibile che questa persona abbia potuto agire indisturbata senza alcun controllo?“.
La vicenda si chiude a livello penale con una condanna patteggiata a 2 anni e 4 mesi. Dal punto di vista della Corte dei Conti, invece, si avverte un maggior rigore e giusta severità nei confronti di un funzionario pubblico infedele che ruba senza ritegno i soldi dei suoi concittadini. La ragioniera è stata condannata con sentenza dello scorso 6 ottobre 2017 ( vedi il testo qui sotto) al pagamento di euro 785.370,77, a titolo delle seguenti forme di danno erariale:
- Danno diretto per € 365.835;
- danno da disservizio per € 14.535, da ascriversi alle “spese sostenute dal comune per un’attività di revisione contabile generata dal complesso di anomalia contabile riscontrate di cui solo una parte è stata già oggetto di completa valutazione in sede penale”;
- danno da interruzione del nesso sinallagmatico € 5.000: il “sinallagma” consiste nella corrispondenza fra energie di lavoro profuse e retribuzione correlativamente corrisposta a un dipendente pubblico. Ciò significa che, se la Zenga si occupava di comprare gioielli invece di lavorare ella lucrava “sul tempo di servizio sottratto all’attività lavorativa complessivamente espletata“;
- danno all’immagine: ben € 400.000: questo importo raddoppia l’entità del danno complessivo quantificato e indica la particolare attenzione prestata dalla Corte alla “alterazione del prestigio e della personalità dello Stato-amministrazione a seguito del comportamento tenuto in violazione dell’articolo 97 della Costituzione, ossia il dispregio delle funzioni e delle responsabilità dei funzionari pubblici. Si verifica, pertanto, una lesione del bene giuridico consistente del buon andamento della pubblica amministrazione che a causa della condotta illecita dei suoi dipendenti perde credibilità e affidabilità all’esterno, ingenerandosi la convinzione che tale comportamento patologico sia una caratteristica puntuale dell’attività dell’ente”.
La chiarezza e l’esemplarità delle vicende narrate (leggiamo di cose simili praticamente ogni giorno) ci consentono di esprimere alcune considerazioni:
- il carattere endemico e diffuso che ha assunto il fenomeno corruttivo nelle pubbliche amministrazioni italiane: la corruzione era – fino allo scandalo di “mani pulite” – un “affaire” perlopiù gestito quasi burocraticamente a livello di partito; oggi invece si è “democratizzata” ed è “scesa giù per li rami”, con la più larga estensione territoriale nord/centro/sud, di genere e di tipo di amministrazione pubblica;
- una certa qual contraddizione fra la sensibilità di alcuni dirigenti pubblici che si sentono permanentemente vessati dall’eventualità di un giudizio per danni di fronte alla Corte dei Conti e l’impudenza di altri funzionari pubblici che commettono reati in modo eclatante e ripetuto, senza evidentemente nulla temere o mettere in conto sulle possibili conseguenze giudiziarie;
……Ma su tutto questo putridume ciò che più inquieta e sdegna è l’assoluta mancanza di controlli pubblici esterni sugli atti di spesa delle Regioni e dei Comuni. Siamo più volte intervenuti su questa tematica (vedi per tutti qui) , osservando che la reazione alla scarsa efficienza dei controlli preventivi che si ebbe agli inizi degli anni ’90 si è alla fine tradotta nella stolta idea di togliere qualsivoglia controllo pubblico esterno di legittimità sui provvedimenti e comportamenti dei funzionari pubblici. Una corrente di pensiero (ammesso che possa conferirsi dignità di “pensiero” a tale scempiaggini) che si tradusse in occasione della riforma del titolo V della Costituzione nell’anno 2001, nell’abrogazione degli articoli 125 e 130, posti dai Padri costituenti del 1948 a primo presidio della legittimità e moralità dei comportamenti dei dipendenti pubblici.
Giuseppe Beato
Corte dei Conti Sentenza n. 143 del 6 ottobre 2017