A ventiquattr’ore dal giuramento del nuovo Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ci piace rievocare le parole di un suo predecessore, Carlo Azelio Ciampi, pronunciate nell’ottobre 2002 alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. Il valore e l’attualità di quelle parole è intatto. Tre concetti su tutti: 1. immissione annuale di nuove risorse dirigenziali (“vendemmia”) nel corpo della Pubblica amministrazione; 2. formazione continua nel corso di tutta la carriera dirigenziale.
Il terzo concetto, attinente al ruolo specialissimo del dirigente pubblico e affermato da chi fu a sua volta dirigente pubblico, va riportato integralmente: ” Per quanto riguarda i dirigenti e, in generale, i funzionari dello Stato troppo spesso si è parlato, a mio avviso impropriamente, di “privatizzazione” del rapporto di lavoro con la Repubblica. La contrattualizzazione degli incarichi, o il passaggio al giudice ordinario delle cause di lavoro, non possono, non debbono far venir meno un qualcosa che è nell’essenza stessa della funzione pubblica: servire la Nazione, con orgoglio e con dignità. Lavorare per la comunità nazionale con responsabilità è attività che non può essere assimilata ad altri tipi di impiego“.
Questo modo di leggere il ruolo del dirigente pubblico é stato – troppo spesso e molto scorrettamente – posto in antitesi con il modello del “dirigente manager”, come se un dirigente pubblico, per definizione, non sia in grado di operare con metodi e criteri manageriali. Concezione farisea finalizzata a privilegiare un’accezione del ruolo più consona all’idea del dirigente “esecutore smart” , prono al volere del politico di turno. L’opposto di ciò che prevede la Costituzione e di ciò che rappresenta per tutti l’esperienza di vita di Carlo Azelio Ciampi.