La pubblicazione degli atti di spesa sui siti istituzionali – Alessandro Tombolini

Pubblichiamo un commento alle misure di trasparenza totale degli atti di spesa inserite dal governo Renzi nel decreto legge – non ancora pubblicato – varato in Consiglio dei Ministri lo scorso 18 aprile 2014. Vedi anche su questo sito i riferimenti legislativi e lo scadenzario degli obblighi di trasparenza introdotti dal decreto legislativo n 33 del 14 marzo 2013 (clicca qui)

ATTI DI TRASPARENZA E DIRIGENZA PUBBLICA

Dopo la riunione del Consiglio dei Ministri di venerdì 18 aprile è stato pubblicato un comunicato stampa che riassume per capi il contenuto del provvedimento adottato (vedi qui). Apprendiamo che nell’ambito della “Revisione della spesa, semplificazione ed efficienza nelle pubbliche amministrazioni” viene sancito l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di pubblicare sui siti istituzionali ed attraverso un portale unico i dati relativi alla spesa e l’indicatore della tempestività dei pagamenti. Si tratta di una disposizione che in realtà si sovrappone a normative già esistenti e quindi la decretazione in questo campo, al di là dei requisiti di urgenza non immediatamente ravvisabili, ha un valore soprattutto enfatico. Questa notizia, pur con le cautele dovute nel commentare una disposizione non analizzata nella sua completa stesura, conduce ad una riflessione immediata. Le amministrazioni con elevata complessità e dimensione significativa inonderanno i loro siti con migliaia di informazioni relative ad ogni singola spesa. In questo mare di dati il cittadino dovrebbe esercitare il suo “controllo sociale” quale portatore di interessi e formare le proprie opinioni rispetto alla bontà gestionale dei manager pubblici. Due fattori non vanno però trascurati in questa analisi. La difficoltà di reperire per il cittadino controllore dei dati di spesa gli elementi di congruità, di necessità e di correlazione alla missione dell’amministrazione interessata. Già immaginiamo le energie e le risorse dedicate a rispondere ad interrogazioni, articoli di stampa e altre voci indignate rispetto a spese che seppur congrue e utili non verranno percepite come tali. La amministrazione X spende euro Y in pulizia. Per sapere se questa spesa è uno spreco di denaro pubblico o meno bisognerebbe conoscere i mq ed il numero degli immobili serviti, la configurazione di servizio scelta, il tipo di convenzione ecc. Sono informazioni in possesso di tutti? La risposta è scontata. La seconda considerazione è più di principio e intende seminare dubbi sulla stessa utilità delle informazioni analitiche sulla spesa. Se io cittadino possiedo 500 azioni di una società quotata in borsa troverò mai interesse nell’analisi del conto fornitori e chiederò la lista degli acquisti? Il no è di rito: probabilmente sarò interessato solo ai dividendi e all’aumento di valore dei titoli.

Nella valutazione della gestione della cosa pubblica, riteniamo debba farsi riferimento non tanto a quanto si è speso (esistono i vincoli di bilancio da sempre nella contabilità pubblica) ma al valore sociale creato e al reddito o alla perdita che l’amministrazione avrebbe conseguito se i suoi servizi fossero stati tariffati. Siamo convinti da sempre che un sistema di tariffe ombra permetterebbe un giudizio sintetico e implacabile sull’operato di ogni manager pubblico. Quotare i servizi con riferimento a consimili prodotti del settore privato o pubblico di realtà straniere permetterebbe di valutare l’operato in termine di perdite e profitti, creando le stesse condizioni di stress positivo tipiche del mercato, con un naturale incremento di efficienza. L’operato di ogni amministrazione verrebbe tradotto in ricavi virtuali e confrontato con i costi correlati, senza lasciare troppi spazi alla irrefrenabile e italica propensione alla ricerca di giustificazioni.

Alessandro TOMBOLINI