Dagli all’evasore

Massimo Gramellini – LA STAMPA 24 Gennaio 2012

Fra i pochi effetti positivi (Monti direbbe: «Non del tutto negativi») di questa crisi Fine di Mondo c’è il cambio di atteggiamento degli italiani nei confronti degli evasori. Fino a qualche tempo fa, intorno agli evasori luccicava ancora quell’alone di rispetto confinante con l’invidia che nel nostro Paese circonda sempre i furbi quando mettono in pratica le trasgressioni che gli altri osano soltanto immaginare. Rubare allo Stato non era percepito come un furto. Non più di quanto lo sia depredare l’accampamento nemico durante una guerra. L’evasore si ammantava di ideali libertari: il rifiuto di piegarsi al sopruso di un potere straniero. Quando c’è da dare e non da prendere, lo Stato in Italia non siamo mai noi, ma qualcun altro.

Poi è arrivata la crisi e abbiamo capito che le tasse non servono solo a finanziare le cricche corrotte e sprecone (Monti direbbe «non del tutto frugali») dei politici, ma anche a tenere in piedi la baracca. Che ogni euro evaso significa un servizio in meno negli ospedali e per la strada. E che quell’euro mancante, non potendo più gravare sul debito pubblico, d’ora in poi dovrà essere compensato da una nuova imposta. Così l’invidia si è trasformata in disprezzo e rabbia. Specie verso quegli evasori totali, ieri ne sono stati scoperti altri 7500, che non evadono per sopravvivere ma per continuare a spassarsela sulle spalle di chi non ce la fa più. A uno di questi eroi in disgrazia è stato sequestrato un cavallo da corsa, figlio di Varenne: ora trotta per lo Stato. Io avrei preferito veder trottare il proprietario in qualche lavoro socialmente utile.

 

La patria, bene o male

                                                         Presentazione

“La patria, bene o male” di Carlo Fruttero e Massimo Gramellini

Il romanzo “La partia, bene o male” di Carlo Fruttero e Massimo Gramellini ripercorre la storia italiana in 150 date per festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Le date scelte dai due scrittori non sono soltanto quelle storiche, contenuti nei libri, ma anche date di eventi dal tono personale: storie di persone di cui è fatta l’Italia.

“La patria, bene o male”, infatti, non è un manuale storico  che esalta le vicende della gloriosa vita dell’Italia Unita, ma un ritratto degli italiani che hanno vissuto l’Italia dal 1861 ai giorni nostri. L’intento di Carlo Fruttero e Massimo Gramellini è quello di descrivivere, più che la storia italiana, la storia degli italiani, fatta di eventi drammatici, ironici e tragici.

Una raccolta di 150 racconti, uno per ogni anno dell’Unità, che riassumono attraverso i colori della cornaca nera, rosa e storica, i tratti fondamentali di un paese che, nonostante i podersi sviluppi avvenuti nell’arco di un secono e mezzo, si ritrova ad avere figure ricorrenti nella sua storia.

“La partia, bene o male” di Carlo Fruttero e Massimo Gramellini, è uno romanzo divertente, che raccoglie

 

la storia d’Italia e degli italiani, facendo ridere, sorriede e soprattutto

riflettere.

 

 

La bella Italia che non seduce gli italiani

Autore: Massimo Gramellini LA STAMPA 17 Gennaio 2013

E così, dopo aver visitato la Roma dei Papi e il mondo esoterico di Leonardo, nel nuovo thriller di Dan Brown si passeggia tra le strade di Firenze e le pagine infernali di Dante. Dan Brown non sarà un maestro di stile, ma è un’autorità indiscussa in materia di fatturato. Se ogni volta mette l’Italia sullo sfondo dei suoi polpettoni è perché sa che l’Italia fa vendere in tutto il mondo.

Non l’Italia di oggi, naturalmente, mediocre sobborgo d’Occidente come tanti altri. L’Italia del passato: le città d’arte del Rinascimento e l’Antica Roma. Gli unici due momenti della storia in cui siamo stati la locomotiva dell’umanità. E a questo punto, ossessiva, scatta la solita domanda: perché? Perché, se l’Italia fa vendere, a guadagnarci devono essere sempre gli altri? Perché i miti del passato italiano affascinano gli scrittori e i registi stranieri, ma non i nostri?

Al di là delle letture dantesche di Benigni, che sono un’eccezione magnifica ma non esportabile, perché l’Inferno ispira romanzi a Dan Brown e non a Sandro Veronesi (cito lui in quanto bravo e pure toscano), tantomeno al sottoscritto che al massimo potrebbe narrare le imprese di Pulici e Cavour? Perché i telefilm sui Borgia li fanno gli anglosassoni e non un pronipote di Machiavelli? Perché le gesta del Gladiatore sono state narrate da Ridley Scott e non dall’epico Tornatore? Persino lo scrittore-archeologo Valerio Massimo Manfredi, nonostante qualche incursione sporadica nella romanità, preferisce mettere al centro delle proprie saghe i greci Alessandro e Ulisse.

Se la tomba dell’eroe di Russell Crowe, scoperta tre anni fa lungo la Flaminia, si trasformerà in un’attrattiva turistica sarà per merito delle associazioni straniere che stanno raccogliendo i fondi necessari al restauro, nel disinteresse impotente del ministero della Cultura, che in Italia dovrebbe contare quanto quello del petrolio in Arabia Saudita, mentre l’opinione comune lo considera una poltrona di serie B.

Ma questo rifiuto pervicace di dare al mondo l’immagine dell’Italia che piace al mondo non riguarda solo gli artisti e i politici. Investe tutti noi. Un bravo psicanalista ci troverebbe materiale per i suoi studi. Sul lettino si dovrebbe sdraiare una nazione intera che si rifiuta orgogliosamente di essere come la vogliono gli altri e desidera invece con tutte le sue forze conformarsi al modello globale, condannandosi alla marginalità. Per quale ragione il passato che affascina e stimola la curiosità e l’ammirazione di turisti cinesi e best-selleristi americani ci risuona così pigro e indifferente? Perché rifiutiamo di essere il gigantesco museo a cielo aperto, arricchito da ristoranti e negozi a tema, che il mondo vorrebbe che fossimo? Forse è presbiopia esistenziale.

L’antica Roma e il Rinascimento, incanti da esplorare per chi vive al di là dell’Oceano, per noi che ci abitiamo in mezzo si riducono a scenari scontati: le piazze del Bernini sono garage e il Colosseo uno spartitraffico. O è la scuola che, facendone oggetto di studio anziché di svago, ci ha reso noioso ciò che dovrebbe essere glorioso. Ma forse la presbiopia e la scuola c’entrano relativamente: siamo noi che, per una sorta di imbarazzo difficile da spiegare, ci ostiniamo a fuggire dai cliché – sole, ruderi, arte e buona tavola – a cui il mondo vuole inchiodarci per poterci amare e invidiare.

L’Italia capitale universale della bellezza e del piacere è l’unico Paese che può scampare al destino periferico che attende, dopo duemila anni di protagonismo, la stanca Europa. Ma per farlo dovrebbe finalmente accettare di essere la memoria di se stessa. Serve una riconversione psicologica, premessa di quella industriale. Serve un sogno antico e grande, mentre qui si continua a parlare soltanto di spread.