…Non siamo solamente noi a dirlo – circostanza in sé poco influente (vedi qui) – quanto esperti del calibro di Mauro Marè, Giampaolo Galli e Alessandra del Boca, la cui opinione viene ospitata sui giornaloni che contano, Sole 24 ore (vedi qui MARE’) e Corriere della Sera (vedi qui DEL BOCA): la “proposta Boeri” sul taglio delle alte pensioni in godimento, non solo è incostituzionale e antigiuridica (il che in uno Stato serio dovrebbe essere sufficiente per un immediato cartellino rosso), ma non risolve il problema della sostenibilità delle pensioni di chi oggi ha trenta o quarant’anni. Lo stesso Tito Boeri ha tenuto ieri ha lanciare l’allarme – atto in sé giusto e moralmente da apprezzare – affermando che, con l’attuale sistema, i giovani andranno in pensione a 75 anni con importi miseri – vedi qui.
E allora? Noi riprendiamo il filo di ragionamento di Boeri con una battuta (che non è poi tanto tale) e con un successivo ragionamento sulla questione della sostenibilità del sistema pensionistico . La “battuta” é la seguente: e se la vera copertura delle pensioni dei nostri figli risiedesse nel ritorno al principio della pensione retributiva? Lasciando la questione a migliori approfondimenti statistico-attuariali ed economico-politici, affermiamo tuttavia che il sistema contributivo garantisce nel tempo solo le fasce alte di retribuzione che saranno – al momento della cessazione dal servizio – le uniche ad aver garantito un trattamento di pensione adeguato. Sul punto, ricordiamo ai moralisti “à la carte” schieratisi contro le “pensioni d’oro” un fatto storico: la legge finanziaria del 2001 (Legge 388/2000, articolo 69, comma 6) bloccò in fretta e furia la facoltà di opzione fra sistema contributivo e sistema retributivo perché proprio gli alti dirigenti statali stavano esercitando in massa l’opzione al sistema contributivo, all’epoca prevista per tutti dall’articolo 1, comma 23 (vedi) della Legge Dini n. 335/1995 (per chi voglia approfondire suggeriamo la lettura le circolari INPS e INPDAP dell’epoca). Cosa vuol dire questo? Una cosa semplice: che il sistema retributivo, lungi dalle ciarlatanerie propugnate da molti “esperti”, favorisce (favoriva) solo i milioni di lavoratori con bassi redditi e periodi contribuzione intermittenti. Questo sia detto per la chiarezza concettuale.
Che poi il sistema retributivo così come congegnato dalle classi dirigenti della seconda repubblica fosse qualcosa di assolutamente insostenibile – soprattutto a motivo del fatto che consentiva fino a solo 10 anni fa di andare in pensione a 57 anni – è un fatto ugualmente incontrovertibile. Ma, allora, il nodo ancora da sciogliere non era e non è tanto la scelta fra sistema di liquidazione con il metodo di calcolo retributivo oppure contributivo, quanto quello della sostenibilità dell’intero sistema, cioè: “chi paga le pensioni?”. Anche su questo problema hanno la meglio le tesi dei confusi di testa e di spirito: credere e pensare che il nostro sistema di Stato sociale possa sostenere l’onere delle pensioni con i soli contributi – in presenza di una ormai altissima aspettativa di vita – é da stolti: é inevitabile pensare a un sistema pensionistico nel quale – come in moltissimi paesi quali ad esempio Svizzera e Olanda – sia introdotto uno zoccolo di finanziamento a carico della fiscalità generale. Non c’è alternativa a questa prospettiva ove non si voglia distruggere per i nostri figli il welfare state come lo abbiamo conosciuto e goduto finora.
In questo senso si tratta di uscire dal papocchio gestito da 30 anni in INPS (il riferimento specifico è all’articolo 37 della Legge n 88 del 1989 – vedi qui) che, confondendo fra “assistenza” e “previdenza”, garantisce apporti finanziari non trasparenti e non controllati ad alcune gestioni speciali e/o a “pezzi” di trattamenti pensionistici minimi. Si tratta di uscire da questo equivoco e regolare secondo idonee compatibilità finanziarie generali il pezzo di fiscalità generale da destinare alle pensioni.In questo senso ripubblichiamo uno studio dello scorso anno 2013 del MEFOP (Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi pensione, partecipata a maggioranza assoluta dal MEF presieduta proprio dal sunnominato Mauro Marè) che ipotizza un criterio misto di sostenibilità finanziaria della previdenza basato su tre pilastri: uno di base alimentato dal sistema tributario, un secondo contributivo obbligatorio e un terzo dei fondi pensione, volontario (pag. 23 e segg. de “I pilastri delle pensioni” vedi qui sotto).
Giuseppe Beato