Ci piace annoverare fra gli interventi a scopo non pubblicitario, ma come atto consapevole di etica pubblica, la decisione di Enrico Maria Ruffini, non ancora cinquantenne Amministratore delegato di Equitalia, di invitare i suoi dirigenti a coadiuvare personalmente il lavoro di sportello gestito dai suoi uffici ( vedi la sua nota ai dirigenti di Equitalia – clicca qui – e la notizia su “la Repubblica” di ieri 16 aprile 2016). La funzione dello “sportello” – malamente ed erroneamente considerato servizio “di risulta” fino a pochi anni fa negli uffici pubblici – ebbe un positivo soprassalto in occasione della promulgazione della Legge n. 150 del giugno 2000 (vedi) che istituì fra l’altro gli “Uffici relazioni con il pubblico“. Fu soprattutto un modo per rappresentare a tutti il fatto che il punto nevralgico d’incontro fra Pubblica amministrazione e cittadino utente é quello: é lì che il cittadino giudica dell’efficienza, della disponibilità e della utilità di un determinato ufficio pubblico. E’ anche evidente il fatto che, se il servizio di sportello “funziona”, ciò dipende dalla buona organizzazione del servizio impressa dal dirigente competente.
Tuttavia, l’idea di coadiuvare a tratti personalmente i colleghi incaricati del servizio arricchisce il quadro di un ulteriore concetto: quello della preziosità del lavoro, di qualunque lavoro, pubblico o privato, sia dirigenziale, sia di concetto, sia operativo-materiale. Il lavoro come fonte di ricchezza e di dignità degli uomini e delle donne é un concetto disperso nel nostro Paese fra le nebbie del guadagno facile, della scommessa vincente, dell’opulenza e dell’estetica. Quanto a dire che la narrazione di uno stile di vita amorale sfida continuamente l’unica etica pubblica vincente per qualunque comunità civile voglia sopravvivere: quella del lavoro e dell’integrità personale.
Dirigenti Equitalia tutti allo sportello