La “riforma” della dirigenza pubblica tentata dal governo Renzi – e i suoi indubbi effetti di lesione del principio dell’imparzialità e della neutralità dell’azione degli uffici pubblici – non costituiva un “fulmine a ciel sereno” nella legislatura degli ultimi 25 anni. Era piuttosto il sigillo finale ad un percorso regolatorio che ha progressivamente piegato lo status del dirigente a forme e funzionalità utili ad atteggiamenti “fiduciari” nei confronti dei vertici politici delle Amministrazioni pubbliche (si veda la nitida raffigurazione di questo excursus storico-legislativo effettuata da Valerio Talamo in occasione del ForumPa del 2014 – vedi qui).
Desta sollievo (e stupore) rileggere a circa 15 anni di distanza la lezione tenuta da Sabino Cassese agli allievi dell'”Ecole Normale Superiere” di Parigi intorno al regime della dirigenza pubblica italiana che ripresentiamo qui sotto.
Quelle affermazioni attenevano ai principi generali di ordinamento delle dirigenze pubbliche francese, inglese e statunitense consolidate da secoli. Cassese nell’anno 2002 individuava il punto di rottura dei tradizionali equilibri costituzionali che debbono presiedere al rapporto fra politica e dirigenza nella “distinzione fra rapporto di lavoro e incarico” (pag. 5) introdotta dalle riforme cosiddette “Bassanini” del 1998. Nell’automaticità della scadenza dell’incarico – svincolata da qualunque valutazione di merito – Cassese individuava la radice della precarizzazione dello status, del ruolo e della funzioni del dirigente pubblico e la fonte utilizzabile a piacimento della “fidelizzazione politica” della dirigenza pubblica italiana. Citiamo letteralmente dallo scritto riprodotto qui sotto: (pag. 9) “numerosi gli effetti dei provvedimenti illustrati. Il primo è quello di porre in una condizione istituzionale di debolezza l’alta funzione pubblica. Questa sa che deve avere il gradimento dei diversi governi, se vuole conservare il posto. Sa che ciò è completamente discrezionale, nel senso che la cessazione è automatica, prodotta direttamente dalla legge e, quindi, che il governo non deve dare alcuna giustificazione del proprio operato”. (Pag. 10)” Un meccanismo come quello congegnato è suscettibile di avere una grande forza espansiva.Una volta nominate persone di fiducia in posizioni chiave (per esempio, le direzioni del personale), queste potranno, a loro volta, fare lo stesso con i livelli inferiori, non dirigenziali, promuovendo o collocando nei posti importanti i dipendenti dello stesso orientamento politico.“- (pag. 10)” il vertice politico riprende in mano la gestione, ma senza assumerne le responsabilità, perché i singoli atti di gestione saranno dei dirigenti. Ciò costituisce un indubbio vantaggio, specialmente sotto il profilo penale e della responsabilità amministrativa (davanti alla Corte dei conti): il dirigente si addossa la responsabilità, il ministro prende la decisione. La separazione tra compiti politici di direzione e controllo e compiti amministrativi di gestione comporta una certa indipendenza dei dirigenti. Questi, se sono deboli e precari, faranno quello che il vertice politico dice loro, con l’ulteriore beneficio, per quest’ultimo, di esercitare poteri senza addossarsene le relative responsabilità.”. Sulla Corte costituzionale, della quale non era stato ancora chiamato a far parte, il professore tranciava valutazioni severissime: (pag. 14)” La Corte costituzionale, con grande superficialità, ha deciso, di recente (ordinanza n. 11 del 2002) che per i dirigenti pubblici, a differenza dei magistrati, “non vi è […] una garanzia costituzionale di autonomia da attuarsi necessariamente con legge attraverso uno stato giuridico particolare che assicuri, ad esempio, stabilità ed inamovibilità”. Essa, ha, così, accettato il nuovo regime”- pag. 14 ) Precarizzare la dirigenza e rendere completamente discrezionale la scelta dei dirigenti, comporta l’introduzione del criterio della fiducia nel rapporto ministro-dirigente, criterio che è estraneo, anzi contrario al disegno costituzionale. Non di inamovibilità si tratta, ma di nomina per durata determinata “.
Lasciamo ai nostri lettori il retrogusto amaro di rileggere il testo completo della lezione cassesiana del 2002. Rimane per noi sospesa una domanda malinconica: che connessione esiste fra quel pensiero netto e coerente con le tradizioni occidentali di gestione della dirigenza pubblica e l’ endorsement ( vedi qui) che il professore ha effettuato della legge di riforma Renzi-Madia, che affossava completamente la tutela dell’imparzialità e della neutralità delle Amministrazioni pubbliche attraverso quella precarizzazione della dirigenza che nel 2002 egli giustamente paventava?
Giuseppe Beato
Cassese 2002 principi generali della dirigenza