Ci asteniamo su questo sito dall’intervenire sul dibattito politico – tutto orientato ad obiettivi tattici – sulla persona che sarebbe auspicabile vedere il prossimo anno come Sindaco della Capitale. Nè ci addentriamo in proposte o riferimenti a strategie, perchè ne sono state costruite nel tempo veramente tante. Ci limitiamo a segnalare un’intervista all’architeto Massimiliano Fuksas apparsa lo scorso 27 settembre su “La Repubblica”, perchè ci pare indicativa nei suoi contenuti di un antico “modo” di leggere Roma da parte degli “Archistar”: alcune idee stimolanti eppoi “Fate un pò voi….” – vedi qui intervista a Fuksas.
Da tempo immemorabile, tuttavia, politici, architetti, intellettuali engagé evitano di porre a base delle loro idee/proposte alcuni dati di realtà, senza tener conto dei quali qualunque progetto su Roma risulterà sempre monco e perdente.
- la questione istituzionale: Roma è l’unica capitale di Stato occidentale amministrata da una governance frazionata nei poteri decisionali di Regione, Provincia, Area Metropolitana e Comune. In questo contesto il Sindaco di Roma è un soggetto con un bel pennacchio ma sprovvisto dei necessari poteri di decidere e di fare; le soluzioni adottate per Parigi, Londra, Berlino sono semplicemente dei miraggi;
- la questione delle “periferie”: ci si ostina a guardare al territorio romano e ai suoi abitanti come a un quadro ottocententesco composto da un imponente “centro” e da “lontane periferie”. Questo schema di lettura è terribilmente fuorviante. Roma, dopo 70 anni di speculazione selvaggia e di crescita della popolazione, è una città con un centro meraviglioso nella sua bellezza e un’immensa “periferia” che ospita l’80% dei romani. Quanto a dire che il vero cuore di Roma dal punto di vista della sua gestione non è più il vecchio “centro” che ospita il 20% del totale dei suoi abitanti (vedi qui gli abitanti dei municipi e la cartina della città) ma i dodici municipi che lo circondano e che per metà della loro superficie sono FUORI del raccordo anulare e che totalizzano insieme 2 milioni e 250mila abitanti su 2milioni e 800mila. Quelli sono i luoghi dove affrontare prioritariamente i problemi della città sul piano urbanistico, sociale, dei servizi e della qualità della vita;
- le attività lavorative: si insiste da parte di tante anime belle – ce ne è traccia anche nell’intervista Fuksas – nell’enfatizzare un aspetto lusinghiero delle realtà romana, presentandolo tuttavia in modo distorto; ci si riferisce a quei settori squisitamente produttivi di alta qualità (telecomunicazioni, informatica, creazioni artistiche, letterarie e cinematografiche, ricerca sperimentale, attività museale, etc) nelle quali Roma è all’avanguardia in Italia e che costituiscono quindi il fiore all’occhiello di una “Roma produttiva”. Marco Causi, nel suo scritto “SOS Roma” del 2018, stimava l’occupazione in queste attività in circa 400.000 addetti sul milione e cinquecentomila (esclusi i dipendenti dell’amministrazione pubblicai) accertato dall’ISTAT nel censimento del 2011 (vedi qui). Peccato che questo motivo d’orgoglio sia presentato in modo divisivo rispetto all’altra Roma che lavora, cioè il restante milione e mezzo di lavoratori, impegnati nel lavoro pubblico (circa 300.000 secondo una stima al ribasso, fra Enti locali, Ministeri, Sanità, Scuola, forze di polizia, forze armate, aziende pubbliche partecipate ed altri), ma anche e sopratutto nelle attività commerciali private, nelle piccole imprese familiari, nonché in quei settori produttivi, quali anche l’informatica, chiaramente a riporto dell’operatività della miriade di uffici pubblici. Questi cittadini, saggiamente chiamati nel passato come “il generone romano” vengono avvertiti come rappresentanti della “Roma sonnacchiosa e pigra capitale da terzo mondo“. Con queste premesse non si va da nessuna parte: Roma, come città ospite dei plessi amministrativi più numerosi del Paese, si fonda su quest’asse di middle-class, a dispetto della spocchia infastidita dei circoli intellettuali romani. Questa middle class commerciale e impiegatizia è il perno socio-economico centrale della capitale e detentrice del consenso politico e dei fabbisogni civici maggioritari. La sinistra degli architetti se ne faccia una ragione e si comporti in conseguenza;
- i servizi urbani: affascinata spesso da progetti bellissimi di carattere artistico-culturale, la politica romana ha oggettivamente tralasciato di porre al centro dei propri programmi obiettivi strutturali , sui quali si gioca la vita di tutti i giorni delle persone: viabilità, mezzi di trasporto, parcheggi, gestione dei rifiuti, interventi urbanistici, servizi ricreativi in tutti i quartieri urbani (non solo a Piazza Venezia o in Prati oppure ai Parioli), in modo da rendere fluida la vita delle persone. Ecco, in questo senso Roma è una città da terzo mondo; la mancanza di una pressante, grintosa e illuminata risposta a questi problemi, tipici di qualunque metropoli moderna, è dovuta – secondo la convinzione di chi scrive – a una certa superficialità e scarsa “applicazione” (sì, proprio quella di cui i professori denunziano la mancanza negli allievi brillanti ma poco attenti) delle migliori classi politiche (sulle peggiori non è nemmeno il caso di soffermarsi) che hanno governato negli ultimi 45 anni (dall’elezione a sindaco di Giulio Carlo Argan nel 1975) questa città disgraziata.
Giuseppe Beato